Ho aspettato la fine della terza, bellissima serie, per scrivere di nuovo di questo telefilm israeliano, in lingua originale con sottotitoli, che mi ha completamente affascinato. Ancora non riesco adel tutto a capire il perché, ma cercherò di chiarirmi le idee scrivendo. Intanto è tutto tranne che televisivo: lento, lentissimo a tratti, va visto senza staccare gli occhi dallo schermo (a meno che non parliate correttamente yiddish;-). L’azione, sempre molto introspettiva, si svolge in appartamenti tristi, con cucine vecchio stile e plastica sui tavoli da pranzo. I protagonisti sono ebrei osservanti, che baciano ka porta di ogni casa in cui entrano, tengono l’uscio aperto se nella casa vi sono un uomo e una donna non sposati, e bisbigliano benedizioni ogni volta che bevono o mangiano qualche cosa. Gli uomini pregano. Studiano i testi sacri, insegnano o dirigono scuole, e pretendono di comandare il casa. Pretendono nel senso un po’ inglese della parola: perché in realtà sono le donne, le mogli e le madri che, oltre a sobbarcarsi la cura dei figli, tanti, e la preparazione del cibo, lavorano per sostenere la famiglia. Bellissimi i personaggi, dal capostipite Shulem, serio e ironico nello stesso tempo, al figlio Akive, pittore di successo ma indeciso a tutto, nella vita, nel lavoro ime in amore. Stupendi i personaggi femminili, da Gitti, apparentemente mite ma super decisionista, alla figlia Ruchami, religiosa fino al fanatismo ma che, alla fine, in un doppio doppio gioco, ottiene ciò che vuole. In questa terza serie alcune moderne invenzioni fanno capolino nella società super tradizionalista, causando tensioni e colpi di scena. Buona visione!