Fare la spesa al tempo del corona virus è complicato. Si evita il supermercato se non assolutamente indispensabile, ci si fa consegnare a casa. Questo significa progettare i menu (siamo comunque in sei) per pranzo e cena ed evitare ogni spreco. Da sempre cerco di evitare di buttare del cibo – anche se il compagno della mia vita da sempre mi rimprovera di scartare delle uova quando sono scadute – ma ora più che mai. E riflettevo sul fatto che buttare era un vocabolo che proprio mancava alla cultura di un tempo, e più che mai in cucina. La parola stessa era una parolaccia, l’azione un delitto dalle conseguenze difficilmente immaginabili: la povertà in persona pareva stesse in agguato dietro l’angolo pronta a ghermire rapidamente chi si fosse macchiato, anche una sola volta, di tale spreco. E si minacciava con la pena eterna – ve lo ricordate? – di raccogliere briciole con un cesto senza fondo nell’altra vita chi avesse avanzato un boccone di pane senza finirlo in questa. “Va buttato” era la sentenza cupa e inesorabile dopo infiniti tentativi di recupero (e questo valeva sia per il cibo che per gli oggetti). Il bollito della domenica tornava a comparire in tavola palesemente o sotto mentite spoglie tutti i restanti giorni della settimana, con esclusione del venerdì, sacrosanto giorno di magro cui si adattavano per abitudine o per quieto vivere anche i laici e i miscredenti. Freddo a tocchetti con l’insalata in estate, in padella con il pomodoro e le cipolle, tritato in polpette o a farcire zucchine o verze (a seconda, ovviamente della stagione). Per non parlare del brodo del lesso, che aveva la miracolosa capacità di moltiplicarsi come i pani e i pesci del Vangelo. La polenta avanzata veniva fritta nel burro, servita con un uovo al tegamino; oppure passata in forno con gli avanzi (manco a dirlo) di ogni genere di formaggio, dal gorgonzola alla fontina e alle tome di montagna, che perdevano così parte del loro sapore piccante. Il pane avanzato (poco, in genere, perché ovviamente se ne acquistava il giusto) veniva immerso nel caffè o nel caffelatte la mattina; cotto nel brodo del pancotto; grattugiato per ricavare pangrattato (l’idea di poterlo acquistare pronto probabilmente avrebbe fatto sgranare gli occhi e scuotere ben bene la testa ai nostri nonni); usato, dopo essere stato ammollato nel latte, per cuocere in forno una torta squisita profumata di cannella. Ed ecco infine la ricetta segreta dell’uovo col pane, uno dei comfort food della memoria: tagliate a fette del pane avanzato, tostatelo brevemente nel burro, appoggiatevi sopra un uovo e giratelo fino a cottura, facendo attenzione, se possibile, a non rompere il tuorlo; salate poco a fine cottura. Il rosso morbido e sontuoso sul pane croccante è… vabbè, provate e vedrete; le parole non bastano a descrivere il cibo del cuore.
L’uovo col pane e altri ricordi del cuore
a cura di ELENA MORA