Casa Banfi è un grande appartamento, nella zona universitaria di Roma: mescola raffinati tavolini decò e ritratti degli amatissimi cagnolini, grandi porte a vetro, eleganti divani di velluto e tanti soprammobili fra cui spicca la scatola bianca e oro con le insegne papali, un dono del Pontefice. “A tutti piace questo Papa Francesco, io non lo conosco ancora. Ma nel cuore mi resta Papa Ratzinger” dice la voce inconfondibile di Nonno Libero, che poi racconterà con una squisita imitazione il suo incontro con il Papa Emerito. Alle pareti del suo studio i certificati di tante onorificenze, Cavaliere del Lavoro, Commendatore, concesse a Pasquale Zagaria. Ma con lo splendido ottantenne Lino Banfi tutto si fa irresistibile racconto, anche un semplice nome. Nomi che, nel caso, sono due. Nella sua quasi autobiografia Hot tanta voglia di raccontarvi…la mia vita e altre stronzéte (Mondadori) ricca di gustosi ritratti di personaggi celebri, da Totò a Peppino, da Arbore (che firma l’introduzione) a Tarantino, ricorda come proprio Totò, offrendogli del denaro che lui, giovane e affamato attore di avanspettacolo, orgogliosamente rifiutò, gli chiese il nome e sentito Lino Zaga, diminutivo di Zagaria, ribattè secco “Cambialo”. “Perché?”. “Perché il diminutivo del nome porta bene, ma del cognome porta male”. E racconta.
“Così l’impresario, che faceva anche il maestro elementare a Monte Sacro, aprì un registro degli alunni e trovò questo Aurelio Banfi. E Lino Banfi finì per la prima volta sui manifesti. Negli anni ho cercato Aurelio Banfi, calcolando che doveva essere un ragazzino di dieci anni allora, che Banfi è un ceppo del Nord, di Varese, Parabiago, ma non ne ho mai trovato traccia. Poi una giornalista francese durante una intervista mi ha detto: “Il n’y a pas. Non esiste. Forse è un angelo che la voleva salvare”. Io ho pensato che carina questa cosa! Mi fa piacere crederci”
Come Pasquale Zagaria e il suo doppio Banfi, parlare con Lino è una esperienza curiosa. A tratti si fa serio e, subito, scarta di lato, torna nelle vesti del comico.
“Quanti guai ho passato per il doppio nome! Ormai Pasquale Zagaria è solo la firma solo per i contratti notarili, che quasi non me la ricordo più, e sul passaporto. Una volta venni invitato in Scozia, per una marca di wisky, e fecero i biglietti a nome Lino Banfi: in Italia tutto bene, ma a Londra in partenza per Glasgow questo poliziotto di colore guarda il biglietto, poi il passaporto e mi chiede: “you mister Banfi o mister Zagaria?”. Io nel mio inglese gli faccio “excuse me i am actor, actor television” e questo mi guardava come dire e sti chezzi!. Fino a che un italiano in coda mi disse “Banfi, dobbiamo perdere tutto questo tempo o la posso aiutare?”. Venne e spiegò tutta la faccenda. Al ritorno chiesi al prefetto di Roma come fare. Questo si informò e disse: scriviamo Pasquale Zagaria (in arte Lino Banfi), attore. Ma era peggio, perché all’estero scrivevano solo il primo e l’ultimo nome così diventavo Pasquale Attore. Ho perfino fatto un atto notarile che certifica che Zagaria Pasquale, e Lino Banfi sono la stessa persona”.
Ma tutti e due amano Lucia…
“Sì, Lucia è una donna molto amata”.
La sua storia d’amore con sua moglie è stata raccontata tante volte, la fuitina, la fuga d’amore, il matrimonio riparatore di nascosto anche se non c’era niente da riparare e i festeggiamenti in grande per i vostri 50 anni di nozze. Però questa volta fra le righe si legge una dolcezza struggente, quasi un dolore nascosto.
“Questo piccolo segnale che Lucia mi dà, di cose che si dimentica o mi ripete le stesse cose. Che mi fa terrorizzare e dire “Mio Dio non è che siamo sul terreno di…”. Ha sempre 78 anni e tutto a questa età nostra è perdonato e perdonabile. Auguriamoci che sia molto lento questo processo. Se processo è. La dolcezza non è per questo, la dolcezza viene con gli anni, con il fatto che lei ha rinunciato a tutto per seguire me. Forse anche questo è legato a quello che ha sofferto per me. In questa tristezza, perché è una tristezza, lei, che non ha mai fatto eccessi di nulla, prende 8 o 10 pillole al giorno. Quando andiamo da qualche medico insieme, per noi un gerontologo ormai, a me dice “Però Banfi, gli esami sono perfetti” Nonostante il mio PIL, quello che io chiamo prodotto interno lardo. E la domanda che fa mia moglie è “dottore come è che mio marito non ha niente e io devo avere tutte queste cose e lui no?” Ormai in famiglia ci ridiamo su”.
Nel libro scrive anche una lettera ai suoi figli in cui dice “Se ci dovrete ripetere tre volte la stessa cosa, cercate di non perdere la pazienza. Noi non l’abbiamo persa con voi”.
“Non è ancora successo, per fortuna, perché io sono ancora quello più sveglio di tutti. Ma quella è una lettera preventiva: dico loro cercate di capire da ora che può accadere questo. E un’altra cosa che penso è che siamo stati al funerale di un nostro amico quando hanno alzato la cassa io ho detto a Rosanna “ahio, sto pensando a quei quattro che magari dicono mortacci tua al morto!” Penso quando toccherà a me, col mio peso… ci rido sopra”.
Lei ha fatto ridere anche il serissimo Ratzinger…
“Quando abbiamo incontrato il pontefice Ratzinger lui ha chiesto a Lucia (ndr: imita la pronuncia dura del Papa Emerito) “Signora, suo marito la fa difertire?” Lei, che non sapeva bene come si parla a un Papa, un po’ intimidita gli ha risposto, “Sì, ma a casa lui spesso è arrabbiato”. “Certo, perché mi fanno incazzére…” sono intervenuto io. E Ratzinger è scoppiato in grande una risata “.
Banfi o Zagaria, ormai per tutti grazie a dieci stagioni televisive è Nonno Libero…
“Sì, in realtà da diciotto anni perché giriamo una serie ogni due anni. Quando me l’hanno proposta vidi la versione spagnola, capii poco, e non mi piaceva. Ma ho capito che poteva funzionare. Che non era tanto un medico in famiglia ma la famiglia del medico. E sono orgoglioso che abbia riunito le famiglie davanti alla tv. Ci sono delle persone che mi dicono, “grazie Lino, perché per un’ora e mezzo i ragazzi, i miei figli, i miei nipoti, non hanno guardato il cellulare”.
Quest’anno ci sono dei colpi di scena, come la paternità di Annuccia.
“Questa la hanno decisa gli sceneggiatori. Per una serie come la nostra è difficile tenere il pubblico, perché non è a episodi, come il pur bellissimo Montalbano con la Sicilia: ha una trama lungo tutte le puntate, bisogna seguirla. Ma anche io ci ho messo mano con piccoli suggerimenti. Anni fa a una cena con Giulio Andreotti, che allora era presidente del consiglio, mi fa a bruciapelo (ndr: imita la inconfondibile voce nasale di Andreotti) “Ma quanti siete in questa casa ? E quante stanze ci sono?”Poi ci pensa un attimo e chiede “Ma c’è un bagno solo?” “Purtroppo sì presidente”. Ci ho impiegato anni ma alla fine di questa serie si costruirà la seconda salle de bain come dice mia moglie con i suoi francesismi”.
Lei è nonno orgoglioso dei figli di Rosanna, Pietro e Virginia.
“Sì. Un giorno Rosanna mi chiama e mi dice “Ti devo dare due notizie, una bella e una brutta. Quella bella è che Pietro è stato accettato in una prestigiosa università in Olanda per studiare fisica nucleare. La brutta è che costa tantissimo!”.
Una brutta notizia l’aveva data nel 2009 proprio sulla salute di Rosanna, quando non si usava parlare di malattie in pubblico…
“Poche ore dopo aver saputo della diagnosi ero ospite da La Vita in Diretta. Allora le dissi: “Sai tu quello che soffro per la cosa tua, ma che dici, ne vogliamo parlare così altre donne fanno prevenzione?”. Lei mi ha risposto: “Ma papà non è che poi ti metti a piangere?” “Ti prometto di no”. Così alla fine della intervista dissi: “Voglio fare un saluto a una donna che amo. Mia figlia. Rosanna ha un cancro al seno”. Poi quando ha perso i capelli per la chemioterapia, tutti in famiglia si sono rasati a zero, suo marito, i suoi figli. Per me non ce n’era bisogno… ma questa è la mia famiglia. Con Rosanna io ho un rapporto speciale, siamo padre e figlia, ma anche amici, colleghi e qualche volta è lei che è una madre per me”.
Colpisce nel libro che lei dica: “Io ho sempre saputo che ce l’avrei fatta”…
“L’unica cosa che non riuscirò mai a fare è quella di dimagrire di 20, 25 chili. Le altre cose quando mi sono messo in testa di farle le ho fatte, come smettere di fumare. Solo nel cibo non ci riesco. Se vado in un ristorante dove c’è la coda alla vaccinara e la trippa devo mangiarle tutte e due. E qui bisogna risalire a tutta la fame che ho fatto nella mia vita, quando ero magro da fame… a Milano abbiamo fatto la presentazione del libro in piazza Duomo dove c’era un ristorante aperto tutta la notte. E noi ragazzi di allora andavamo vicino alle grate del ristorante con un pezzo di pane per mangiare anche il profumo di quei cibi che salivano dalla cucina. Quando gli altri volevano tornare al Sud, per la fame e il freddo, io dicevo ma io un giorno sarò famoso e tutti mi guardavano come dire la fame aguzza l’ingegno ma ti fa anche diventare pazzo”. Diciamo che mi è andata bene”.
Si va in pensione da nonno Libero?
“Non lo so. Io ho detto agli sceneggiatori: non so se avrò la forza di fare un’altra serie. Ma se voi dopo due o tre puntate fate morire nonno Libero, nella puntata del funerale facciamo il 50% di ascolto. Può darsi che un giorno, invece, come fanno gli americani, si fa una serie nuova con quel personaggio”.
Una nuova vita anche per lei?
“Sto lanciando il marchio Bontà Banfi, stiamo trattando con la grande distribuzione dei supermercati, con la Conad. E con mia nipote Virginia, che vuole fare la chef, vorrei aprire un locale a Roma di orecchiette da asporto. Un take Away alla barese. Magari con il sugo Porca Puttèna, bello piccante. E mettere in vetrina i prodotti Bontà Banfi, su cui metto la faccia e la firma perché sono italiani, ma ancor meglio, pugliesi”.
Per essere un ottantenne è pieno di idee e iniziative…
“Sì. Ma poi c’ho il crollo. Io faccio il forte in quel momento poi, dopo una valanga di cose, ho il crollo, ma da solo, per conto mio. Ecco perché dico che per ridere bene bisogna essere almeno in due, a piangere invece bisogna essere per forza da solo. Quindi io fino a che si tratta di fare il divertente, anche se c’ho i cavoli miei, devo avere almeno due o tre spettatori. In fondo in fondo sono un Cancro, molto pessimista. Non ho mai visto il bicchiere mezzo vuoto, l’ho visto rotto, frantumato, senza il liquido. Devo dire che sto imparando dai miei figli a vederlo un po’ meglio, in modo attivo e non passivo. Da quando c’ho 80 anni vivo con sulla scrivania questo coccodrillino di plastica: siccome i giornalisti quando uno muore fanno il ritratto, quello che si chiama il coccodrillo, ho pensato: ma io me lo faccio da solo”.
Mi dica allora il suo di coccodrillo, quello che fra tanti tantissimi anni vorrà sulla sua tomba
“Ci sto pensando alla frase precisa, ma sulla tomba deve essere abbastanza breve. Vorrei una cosa così: Se vi ho fatto ridere sprecate una lacrimuccia per me, però ridendo”.