Se fosse nata sotto la vicepresidenza di Andrew Johnson, a metà del 1800, (segnato in rosso nel riquadro alla sua sinistra), Kamala Harris sarebbe stata, come donna di colore, una schiava.
Sotto Richard Nixon, incorniciato in blu, e siamo negli anni cinquanta, avrebbe potuto frequentare solo scuole a cui erano ammessi allievi di colore. All’epoca della vicepresidenza Humprey (nel riquadrino giallo) non avrebbe ancora potuto votare; e nei primi anni settanta, vicepresidente Spiro Agnew, (nel riquadrino verde) non avrebbe potuto aprire un conto in banca. Nel 2021 Kamala, madre indoamericana, padre di origini giamaicane, è la prima donna, e la prima persona di colore vicepresidente degli Stati Uniti, 49esima nel ricoprire questa carica. Sembra incredibile, non è vero? E per scoprire chi sia questa donna così determinata e così capace da ottenere per prima nella storia un ruolo come questo consiglio due libri che sto leggendo: la sua autobiografia, “Le nostre verità” (la nave di Teseo) e “A proposito di Kamala” di Dan Morain (Solferino). Dietro la sua vita e il suo destino ci sono quelli che chiama i supremi atti di autodeterminazione e amore” da parte di sua madre: decidere di non tornare in India dagli Stati Uniti dove studiava e rifiutare il matrimonio che la famiglia aveva combinato per lei. Nella sua autobiografia Kamala racconta tutte le sue battaglie per le persone di colore, contro ogni genere di pregiudizio, ma sempre con un atteggiamento molto americano, concreto, fattivo. Ed è significativo che il libro inizi con due contemporanee vittorie: la sua elezione al senato e quella di Trump a presidente degli Stati Uniti. Stava per cominciare il suo impegno da senatrice, dice, ma anche” una battaglia per difendere l’anima della nostra nazione”. Quella che sembrava una fine, ora, nel dopo Trump, è un inizio, con una donna vicepresidente.
Il libro di Morain, ovviamente, è più attento ai dietro le quinte della sua carriera, agli episodi che la raccontano, anche quando, curiosamente, è in competizione con colui di cui, ora, è la vice.
L’abbiamo vista sorridere, Kamala Harris, il giorno dell’insediamento di Biden. Figlia di una indiana 26enne che la ha messa al mondo nel 1964 in California, crescendola poi da sola, è la dimostrazione, come lei ama dire, che tutto è possibile in America. A sua madre deve molto, ammette, e spesso ripete una sua frase: “Potrai anche non essere la prima persona al mondo a fare molte cose: ciò che conta è non essere l’ultima”. Una vita e una carriera davvero interessanti quella di Kamala: il suo biografo Morain la definisce “tosta, brillante, esigente, instancabile, intelligente, complessa e multiculturale”. Non male davvero come scelta di aggettivi che ne dite? Multiculturale è decisamente il più adatto a una donna di madre indiana, diventata una apprezzata ricercatrice sul tumore al seno, e padre di colore, approdato negli Usa dalla Giamaica per studiare. Dal matrimonio, poi finito in divorzio, fra i due sono nate Kamala, appunto, e Maya, la sorella minore a cui la neovicepresidentessa è legatissima.Sono molto interessanti tutti e due e utili per capire chi starà a fianco del presidente Biden per i prossimi anni, ma anche chi, come qualcuno già immagina, potrete sostituirlo se, a causa della sua età, dovesse avere problemi. Buon lavoro Kamala, per tutte noi.