Il tram numero 1 e il mio amore per Milano
Sono nata in una cittadina in Piemonte nello stesso anno in cui, a Torino, nasceva la televisione. Io, però, sono venuta al mondo in una sorta di paesone tranquillo, chiusa fra due zone molto attive. Vicina ai laghi dove si producevano, grazie anche all’acqua ferma, pentole pubblicizzate con una indimenticabile linea (Lallala-Lagostina), le caffettiere dell’omino coi baffi (Bialetti), oggetti di raffinato design (Alessi) e rubinetti di ogni tipo esportati in tutto il mondo. Poco lontano, l’acqua mossa dei fiumi aveva favorito la produzione di filati anche molto importanti, amati da ricchi e raffinati clienti (Loro Piana, Agnona, per dire). Insomma, fra gente attiva, creativa, oculata (termine carino per dire piuttosto risparmiosa, al limite di taccagna), sempre molto low profile. Da noi non si parla di soldi, non ci si vanta di successi, non si mostra ciò che si compra, non ci si pavoneggia. Ma, comunque, una cittadina a misura d’uomo, come si dice, strade da girare in bicicletta, dove l’evento è il mercato del venerdì. Da lì, una volta al giorno, tranne il sabato e la domenica, alle sei di mattina partiva il pullman dei pendolari che lavoravano a Milano. Da lì, bambina, sono partita un mattino con mia mamma per la metropoli: una vera avventura per andare a trovare una sua amica che abitava e lavorava lì, e che era a lei così cara che avevo il permesso di chiamarla zia (le altre amiche erano signorina Ada, dottoressa Borgna, e così via). La sveglia all’alba, l’attesa sotto il portico del bar alla stazione delle corriere: di spendere per un caffè non se ne parla neppure, e poi si rischia di perdere la corriera. L’emozione del viaggio, l’arrivo in piazza Castello: un grande, vero castello! Il pranzo, da frugali piemontesi, era a casa degli zii acquisiti. Casa che, ovviamente, non era in centro città, ma in un viale, rumoroso e trafficato, le finestre della casa affacciate sulla sopraelevata. Prendere un taxi non è una opzione – all’epoca io ne ignoro persino la esistenza, mia madre ignora la possibilità di prenderlo per l’oculatezza di cui sopra – quindi dobbiamo prendere una altra corriera.
Qui, nella città dove ho poi vissuto per cinquant’anni, ho assaggiato per la prima volta il prosciutto crudo con il melone (lusso sfrenato per le mie ridotte conoscenze di gastronomia), qui ho vissuto la avventura delle scale mobili della Rinascente: e da ogni parte merci e colori che mi hanno fatto girare la testa – e che me la fanno girare tutt’ora. Qui mi sono laureata, ho fatto un corso di teatro in quel palazzo meraviglioso che è chiamato le stelline – da casa delle orfanelle a centro congressi elegante e raffinato. Qui, nella pace del chiostro di Santa Maria delle Grazie, davanti alle piccole rane che da secoli sputano acqua sui nostri destini, ho imparato a prendere le distanze dai problemi: appoggiandoli idealmente su una mano poi, con un movimento di telecamera all’indietro, come nei titoli di coda dei film, allontanarmi nel tempo. Quanto mi avrebbe fatto piangere, o preoccupare, quel problema a distanza di un mese, di un anno, di un decennio? Il movimento di camera non è casuale: a Milano Due sono esposte, nelle teche, le telecamere con cui lavoravamo agli inizi degli anni Ottanta, dove sono nate le tv commerciali – per un breve periodo chiamate libere. Comunque uno la pensi, una straordinaria avventura professionale in cui ho lavorato con giganti del giornalismo come Giorgio Bocca, Guglielmo Zucconi.
Già perché l’altro ricordo che ho di Milano, da bambina prima e da ragazzina dopo, è in bianco e nero: il nero dello smog, quella patina scura e unta che copriva tutto, dal Duomo alle auto parcheggiate, e il bianco della nebbia, che veramente cancellava tutto il mondo intorno, creando una indimenticabile magia. Inquinamento e nebbia scomparsi negli ultimi anni, almeno in quel modo così plateale, mentre la città si ripuliva per l’Expo, si agghindava per i turisti, alzava nel blu le guglie dei grattacieli a rivaleggiare con quelle del Duomo. Ma la vera Milano non sta nei monumenti, nelle vie eleganti, nei negozi dello shopping da super ricchi: la vera Milano sta nelle persone che ci vivono (sono poche ormai quelle che ci sono nate davvero), magari un po’milanese imbruttito, un po’ bauscia e sbruffoni, ma generosi, accoglienti e attenti alla cultura.
a cura di ELENA MORA