28 agosto 1996: con un bollo da venti sterline diventa ufficiale il divorzio fra Carlo e Diana. Lei perde il titolo di altezza reale e, cosa ancor più grave, come si vedrà, perde la protezione assicurata ai membri della famiglia Windsor. Ed è forse questo il motivo per cui un anno dopo, a poche settimane dal loro incontro, accetta l’invito di Dodi al Fayed. Il miliardario, figlio del proprietario di Harrods, il grande magazzino londinese, che la corteggia mentre è legato a una altra. Diana pensa che il loro denaro, la loro security, saranno in grado di proteggere lei ei suoi figli. Ed è una grande ironia del destino che partendo da un hotel della famiglia Fayed, a Parigi, diretta a una villa di proprietà dei Fayed, dopo una vacanza sul loro yacht e un breve volo sul loro aereo, si avvia verso il ponte dell’Alma, dove avverrà l’incidente in cui perderà la vita il 31 agosto. Solo tre giorni prima aveva festeggiato con Dodi l’anniversario del divorzio, brindando a bordo dello Jonikal, il lussuoso yacht su cui veniva ospitata in un giro per il mediterraneo. Convinta di saper manipolare la stampa, gioca a nascondino con i fotografi, dando loro in pasto il bacio con Dodi, il suo corpo dalle lunghe gambe scolpite, fasciato in costumi interi, turchesi come il mare della costa smeralda in cui passa gli ultimi giorni.
Ma a Parigi la pressione dei paparazzi si fa più pesante: le voci più insistenti la danno fidanzata, prossima al matrimonio, incinta. Di che invitare a nozze i giornalisti di gossip, che, quindi, cercano di assicurarsi una loro foto insieme. La loro ultima immagine di coppia, invece, sarà quella delle telecamere del Ritz, l’hotel da cui cercano di fuggire con lo stratagemma che li porterà dritti allo scontro finale con il pilone. Lei caschetto biondo fresco di parrucchiere, giacca nera, aria sperduta: lui che cerca di rincuorarla con un abbraccio protettivo mentre studia la strategia di fuga che eviti la uscita principale dove sono in attesa i fotografi sì, ma anche gli autisti di fiducia.
Così è Henry Paul, con un livello di alcol tre volte superiore al consentito, che guida l’auto su cui salgono – non una limousine dell’hotel, ma una Mercedes che aveva già subito gravi incidenti, e che, a detta di alcuni autisti, non teneva la strada appena si prendeva velocità. Nè Diana né Dodi, né tantomeno l’autista, indossano la cintura di sicurezza che avrebbe potuto salvare loro la vita: tanto è vero che l’unico a sopravvivere è il passeggero davanti, che la aveva chiusa, Trevor Reese Jones: ma anche l’unico che, come agente di sicurezza pronto a entrare in azione in qualunque momento, avrebbe dovuto averla slacciata per essere libero nei movimenti.
Incidente? Omicidio? Con Luisa Ciuni abbiamo scritto un libro su Diana, sul suo matrimonio, sui suoi problemi psicologici, sulle tensioni con la regina. Abbiamo letto e studiato insieme. Lei è convinta che si sia trattato di un incidente io sono convinta che non sia stata una morte casuale. A voi la scelta.