Ogni genitore lo sa, ma lo nega. Ogni figlio lo sa, e lo rinfaccia. Del tema si parla poco, quasi fosse un tabù, qualcosa di cui vergognarsi e tacere. Ma tutti i genitori hanno un figlio del cuore, quello in cui si riconoscono, che vogliono accanto a sé, che proteggono e, spesso, iperproteggono: e la psicologia lo conferma. Sono tante le domande su una questione che, essendo gli umani figli prima e genitori poi, riguarda davvero tutti. Ma meglio cominciare dalla prima, con la psicanalista Laura Pigozzi, autrice, fra gli altri saggi, di “Troppa famiglia fa male” (Rizzoli): è vero o no che tutti i genitori hanno un figlio prediletto? “E’ assolutamente vero. Talmente vero che gli psicologi contemporanei hanno inventato una sigla: gli americani lo hanno chiamato PDT, trattamento parentale differenziale. Non ci sono cure, ovviamente, perché non è una patologia, ma una realtà, la constatazione di una realtà”. Già: ma quali sono le cause di questa predilezione? Il sesso, l’età, l’ordine di nascita, la forza del carattere o la fragilità del figlio? E quali le conseguenze che comporta il diverso atteggiamento dei genitori? “I fattori decisivi sono due”, spiega la Pigozzi. “Il primo è come stava quel genitore quando è venuto al mondo quel figlio; che cosa ha significato per lei o lui quella nascita; la seconda è che c’è sempre un figlio che ci rispecchia di più, quindi per motivi narcisistici si preferisce quello che è più simile a noi. Nelle famiglie con madri e padri che hanno funzione di guida più fragile c’è la preferenza verso il figlio più malleabile, con cui non devono avere conflitti; perché oggi non si vogliono avere conflitti con i figli, pratica maldestra perché il conflitto è sempre una occasione di crescita non solo per i figli ma anche per i genitori”.
Maschio o femmina?
Si è sempre pensato, con comune buonsenso, che il sesso dei figli possa influenzare il rapporto, causando quindi una predilezione. Ma è vero? “Un figlio maschio è spesso il preferito della mamma, la femmina spesso del papà” conferma la psicanalista. “Perché il maschio si mette in competizione con il padre e non ha con la madre quella opposizione che a un certo punto arriva sempre dalle figlie femmine, opposizione che serve alle femmine per staccarsi dalla madre, ovvia, naturale e auspicabile”. Esperienza che ogni madre di figlia femmina, anche se unica, conosce bene…
Figlio fragile, rapporto forte
Spesso il figlio prediletto è anche quello iperprotetto, quello che viene vissuto come più fragile degli altri. Ma, molto spesso, questa iperprotezione ha profondi motivi egoistici. “Un figlio fragile è più facile che resterà sempre un po’ attaccato, un po’ bambino; quindi con loro tendiamo a creare una coltre protettiva, una specie di tirannia della protezione che, però, non li aiuta per niente a diventare meno fragili. Il figlio fragile è anche quello che mette meno in discussione il genitore. Il figlio più forte a un certo punto dice “adesso basta con il controllo, con la protezione” mentre quello fragile è grato di questa protezione e il genitore è contento narcisisticamente, sa che ha una funzione importante, anche riconosciuta socialmente “guarda quella mamma come è brava con un figlio difficile” magari anche solo anche solo timido, spesso risultato di troppa simbiosi con uno dei genitori. Il genitore pensa sarà sempre mio avrà sempre bisogno di me, non se ne andrà”.
Se mi amano poco, valgo poco
Mio fratello è figlio unico, cantava Rino Gaetano: un paradosso che ha, come sempre, un fondo di verità. “I figli sanno benissimo chi è il preferito, spiega la psicanalista. “Hanno quasi bisogno di dire “io sono il preferito” come se in ogni fratello ci fosse una pulsione ad essere figlio unico. Perché c’è anche molta immaginazione: magari uno pensa di essere il preferito di un genitore, invece lo è dell’altro. Ma qui è bene ribadire la importanza della relazione tra fratelli: perché tutte le magagne che ci sono sempre, dalla nascita alla morte dei genitori fino alla spartizione della eredità, nascono dalla questione di chi preferisce chi. L’eredità è un momento in cui si capisce chi è il preferito perché, fatta salva a legittima, lo si privilegia, magari gli si intesta la casa più bella. Se c’è un rapporto fraterno forte però le preferenze fanno meno soffrire. In caso contrario la preferenza diventa determinante come parte della mia identità: se mi amano poco valgo poco. Il figlio meno preferito si può sentire in colpa per non essere il prediletto; può credere di non aver soddisfatto i genitori e sviluppare anche relazioni insane dopo; si lega a qualcuno da cui dipendere, è sempre continuamente in cerca di amore. Le persone male amate più chiedono amore e più diventano male amate. Inconsciamente cercano il genitore che non li ama, per avere un risarcimento, ma anche perché così giustificano il genitore che li ha amati male: tutto il mondo li ama poco, quindi il difetto è in loro. A livello profondo, inconscio, lo fanno pur di salvare il genitore”.
La (s)fortuna del prediletto
Essere, o sentirsi, poco amati può avere quindi spiacevoli conseguenze. Ma anche esserlo troppo può segnare un percorso. “Il preferito, continua Pigozzi, non è veramente fortunato: è quello a cui non viene chiesto di portare un minimo contributo, non gli si chiede niente, quindi lo si rende in qualche modo meno forte. Può essere anche viziato: un esempio è il principe Andrea, pare il prediletto della sovrana appena scomparsa, che è stato esautorato dai compiti di corte perché accusato di abusi sessuali. Perché spesso i figli prediletti usano questo essere o sentirsi più forte per fare stupidaggini oppure per fare scelte molto impegnative perché devono lustrare l’ego del genitore. I genitori li caricano di aspettative enormi, spesso neanche tanto realistiche. Ma l’unica eredità che possiamo lasciare ai figli è lasciare realizzare il loro desiderio: non dovremmo mandarli per il mondo con la testa girata all’indietro verso di noi genitori; non per tornare a casa con il trofeo, ma per esplorare”.
Il cocco di mamma
E quanto conta, infine, l’ordine di arrivo nel mondo? Spesso i figli di mezzo, non primogeniti né ultimogeniti, si lamentano del loro non avere un ruolo, di non essere amati come gli altri. “È abbastanza vero; salvo che il secondo è stato l’ultimogenito per un certo periodo, quindi per lui è ancora peggio perché poi è decaduto dal trono di ultimogenito e si trova schiacciato fra i due fratelli. Il primogenito spesso è il più amato perché sul di lui la madre ha investito moltissimo, l’ha fatta diventare madre, visto che oggi essere madre è considerato una conquista. Il secondogenito e quelli che vengono dopo sono quelli che fanno rivivere quel momento di gioia e quindi l’ultimo nato, magari quando la madre non è più giovanissima, diventa inevitabilmente il cocco di mamma; ma questo può incastrare un figlio in quel ruolo. Bisogna fare capire ai figli che sono diversi e in qualche modo vanno valorizzati per le loro differenze. Se un genitore dice di non avere un figlio preferito mente. Noi ai figli lo neghiamo costantemente: ma a loro invece andrebbe detto preferisco fare una cosa con te e un’altra con tua sorella o fratello”.