Così si arriva a Milano, alla clinica dove è già stato fatto il prericovero. La gravida sale subito in reparto mentre la madre della gravida (io) si occupa delle scartoffie. Vi ricordate che ci siamo precipitati qui, io, mia figlia incinta di due gemelli e mio genero, perché l’ospedale dove erano state fatte le analisi aveva detto di darci una mossa (in maniera più professionale, d’accordo, ma il senso era quello…)? Bene. Io arrivo con tutte I miei incartamenti – in realtà quelli di mia figlia – e la gentile, troppo troppo gentile impiegata della accettazione subito mi sorride dicendo “ah sono arrivati I gemelli! Tranquilla i pediatri sono già andati a pranzo presto, così saranno tutti pronti dopo il cesareo”. Già il fatto che lei sappia dei gemelli, dei pediatri e del loro pranzo non mi lascia tranquilla per niente. In fin dei conti sono due gemelli, mica due marziani, no? Ma devo correre in reparto a portare le ricevute, quindi mi devo concentrare su come arrivarci. Come dice il compagno della mia vita ho un grande senso del disorientamento per cui non mi è facile trovare mai niente. Arrivo nella sala d’attesa in tempo per essere intercettata dal primario che mi poggia una mano sulla spalla dicendomi “Tranquilla, signora, non c’è niente di cui preoccuparsi”. Ed è lì che capisco, da quella mano sulla spalla, che devo preoccuparmi. Anche parecchio.
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DIARIO DI UNA SUPERNONNA (OVVERO LE MIE PRIGIONI) – 4
a cura di ELENA MORA