Quando mia figlia ha visto “La vita è bella”, di Benigni, era una bambina di dieci anni. A mia madre, sua nonna, preoccupata che la storia del campo di concentramento la potesse avere spaventata, aveva detto: “ma non capisci nonna, questa è una storia di amore paterno”. Ecco, questo Pinocchio di Garrone in cui Benigni è un vecchio Geppetto spelacchiato, è una grande storia di amore paterno. E non so se sia per bambini, perché un po’ spaventa, o per grandi, perché c’è una fatina che da bambina si trasforma in donna supersensuale. Non so se sia una favola, perché – e per fortuna – il naso al burattino di legno si allunga una sola volta. Sicuramente è un trionfo di effetti speciali e di citazioni colte di quadri d’autore: anche se a me sono piaciuti tantissimo il gatto e la volpe (Rocco Papaleo e Massimo Ceccherini) che sono due maldestri truffatori umani, molto umani. Comunque, onore al merito di Benigni, coraggiosamente tornato sul tema Pinocchio dopo il suo non strepitoso risultato con il film del 2002, che racconta qui con grande efficacia un’altra storia di assoluto, infinito amore paterno. Ah, e per la cronaca: a tutti, quando mentiamo, il naso si ingrandisce un po’, tanto che toccarsi il naso quando si dichiara qualcosa è una prova quasi certa che si sta mentendo… e chissà se Collodi si era ispirato a questo per il suo Pinocchio.
Benigni grande Geppetto (ma il gatto e la volpe…)
a cura di ELENA MORA