La baronessa: in un libro la meravigliosa storia di Nica Rothschild
Chi mi segue sa che adoro le biografie: anche perché la realtà, ho constatato, è sempre più esagerata della più esagerata delle fantasie.
Quindi mi sono molto appassionata a questo La baronessa, la storia di Nica Rothschild scritta dalla nipote Hannah (Rothschild, ovviamente).
Questa prozia un po’ pazza, considerata in famiglia con qualche ragione la pecora nera, che Hannah scopre nelle pieghe dei discorsi dei grandi quando ha undici anni. Perché i parenti tutti avevano steso un velo di silenzio su questa donna nata un secolo fa, nel 1913, morta nel 1988 dopo una vita decisamente avventurosa. Chiamata Pannonica (un po’ sfortunata in quanto a nome rispetto alle sorelle, Miriam e Liberty: anche se, tecnicamente, Pannonica è il nome di una farfalla) detta Nica e soprannominata la baronessa del jazz. E già così c’è parecchio da immaginare: ma la esistenza di questa donna, che la nipote scopre a poco a poco, prima incontrandola, poi intervistando i testimoni rimasti di quegli anni ruggenti in cui la prozia non si era negata nulla, va oltre la trama di un avventuroso film.
Ha ventidue anni Hanna quando incontra la prozia, settantunenne: e non ritrova nulla della graziosa debuttante ritratta nell’albero genealogico della famiglia. Il racconto comincia così, con la voce “in parte rombo in parte brontolio”, in un locale fumoso di una zona famigerata di New York.
Pilota di auto veloci a 18 anni, di aereo a 21. Subito dopo moglie dell’ingegnere minerario Jules de Koenigstwater: una famiglia ebrea a Parigi all’arrivo dei nazisti… ma Nica non si spaventa di nulla e, con l’ultimo treno, la bambinaia e la domestica riesce a raggiungere l’Inghilterra; invece di dieci ore per arrivare al porto impiega due giorni, uno senza cibo per lei e i tre bambini, ma si salva. Due giorni dopo la sua partenza i nazisti arrivano al loro castello e arrestano la suocera e la prima moglie di Jules. Vola in africa da clandestina per raggiungere il marito, poi a Napoli e Caserta con lui, e lì il suo incarico è di aiutare a identificare i cadaveri dei soldati caduti sul campi di guerra europei. Finita la guerra quelli che, nel conflitto, erano qualità del marito tornano ad essere grossi difetti: il decisionismo, l’autoritarismo. Jules ha un incarico diplomatico, prima in Danimarca poi in Messico, hanno altri tre figli, ma lei non riesce a tornare ad essere la moglie come prima del conflitto, di tutte quelle avventure vissute da sola. E’ irrequieta (come sempre).
Così è fra il 1948 e il 1949, (nemmeno lei si ricorda la data esatta della svolta storica della sua vita), che scopre il Jazz: decide di conoscere quel musicista autore di una canzone che la ha conquistata. Lascia il Messico e si traferisce a New York, dove vive per trent’anni diventando un vero e proprio mito vivente della leggenda del jazz. La baronessa con la rolls royce bianca, un fondo spese apparentemente inesauribile e un libretto degli assegni sempre aperto per gli artisti.
Che dire? Da qui in poi vi prego e vi consiglio di continuare nella lettura per conto vostro: