Prima medico, poi autore di grandissimo successo con decine di romanzi in classifica, Andrea Vitali ha ripreso la valigetta del dottore per curare prima e vaccinare in tempi di Covid. Il suo è un bellissimo messaggio di speranza, di ottimismo, di impegno, in un momento in cui ce ne è davvero tantissimo bisogno.
Come è stata questa sua esperienza di ritorno al suo passato da medico, dopo tanti anni dedicati alla scrittura, in una situazione così particolare?
“E’ bella. Bella in senso ampio perché la ragione principale è che, come tutti sanno, questo primo blocco di vaccino tocca gli ultraottantenni. Così mi sono trovato, ci siamo trovati, perché ovviamente non sono solo, di fronte a una popolazione che, per quanto anziana, è assolutamente informata e, soprattutto, assolutamente decisa a farci vaccinare. Nessun tipo di obiezione, a parte qualche battuta per alleggerire: una decisione, una voglia di essere vaccinati che insegna, che è un bellissimo esempio anche per chi ha dubbi su questi vaccini. Fra l’altro, per fortuna, sta andando tutto liscio, senza nessun tipo di problema: e questa è una bella cosa perché queste persone poi parlano fra di loro e diffondono la fiducia nel fatto che il vaccino funziona, va bene, non dà grossi problemi, a parte qualche reazione locale come tutti i vaccini del mondo. La cosa che mi piace di più è che, nonostante il massacro di informazioni televisive e dei giornali, la quasi totalità di queste persone ragiona per conto proprio, tira le proprie conclusione e decide senza essere troppo influenzata da una certa emotività che non si può negare”.
Ci sono secondo lei responsabilità della informazione? Troppa, troppo urlata?
“Una responsabilità precisa, diretta no. Ma forse la insistenza nel ripetere la stessa informazione può diventare ossessiva e mettere in ansia qualche persona particolarmente fragile o emotiva. Tv e giornali non possono fare a meno di comunicare contagi e morti, ma la ripetizione pressoché continua – non si può aprire la tv senza piombare in un tg talk show che parlano di virus e vaccini – potrebbe mettere un po’ in discussione qualche certezza; cosa che, peraltro, non ho verificato sin qui”.
Anche perché, forse, c’è un rapporto di fiducia nei paesi più piccoli come quello in cui opera lei rispetto alla città?
“Il rapporto interpersonale diretto con il paziente è un vantaggio, soprattutto se è un rapporto gestito con una certa elasticità, che permette a queste persone di fare le domande che hanno in testa. C’è un passaggio di chiacchiera sulla terapia, di valutazione delle patologie presenti, su come sta o come è stato: la parola, questo momento preliminare fatto di parola ha un valore profondamente terapeutico. I dubbi vengono risolti, le cose spiegate e si accede alla vaccinazione con maggiore tranquillità”.
È stato emozionante tornare a fare il medico?
“Sì. Lo ho fatto di recente sostituendo un collega; anche perché è una esperienza completamente nuova per tutti, stante il fatto che questo covid non lo conosceva nessuno fino a un anno fa. Quindi è un banco di prova non solo per me ma anche per i colleghi che sono con me a vaccinare in questi giorni. Un mondo completamente nuovo: stiamo parlando di una malattia che tutt’ora è in via di essere conosciuta”.
Ha detto che la difficoltà più grande per lei è stata usare il computer. Ma è vero che ha scritto a mano tutti i suoi romanzi?
“Lo giuro!”
Arriverà qualcosa di questa esperienza in un prossimo libro?
“E’ possibile: ma soprattutto per certi aspetti umani, certe caratteristiche di alcuni soggetti che ho incrociato. Per esempio uno che canta in un coro che, per farmi capire che non aveva mal di gola, ha intonato una canzone; e un altro che alla domanda se aveva problemi di olfatto o di gusto ha risposto che aveva bevuto un bicchiere di barbera prima di uscire ed era stato sicuro di aver sentito il sapore. Gli aspetti ludici che rendono più lieve l’atmosfera”