Chi ha vissuto quel periodo, i primi anni 80, se li ricorda: ragazzi come fantasmi che si aggiravano nelle strade delle città; che minacciavano i passanti brandendo siringhe come arma. Era iniziata la piaga della eroina, fiumi di droga invadevano l’Occidente mentre veniva scoperta una misteriosa malattia, l’AIDS. Chi è giovane oggi invece scopre un mondo: “Sanpa, luci e tenebre di San Patrignano” è il documentario di Netlix che ricostruisce l’inizio, i momenti di gloria e i giorni dei processi della comunità fondata da Vincenzo Muccioli. Un programma tv che ha il merito di far parlare della droga, di mostrare come veramente devasta mente e corpo, ma che affronta anche temi davvero scottanti come il ricorso alla violenza nel trattare un tossicodipendente.
Vincenzo, il bene e il male
Una figura, quella di Vincenzo Muccioli, controversa e grande sotto ogni aspetto: era alto più di un metro e 90 ed era arrivato a pesare 160 chili. Un altrettanto grande talento nell’usare i mezzi di comunicazione, i contatti, le relazioni. “San Patrignano” spiega l’autore del programma, Carlo Gabardini, “fu una vicenda per cui l’opinione pubblica e le istituzioni, con responsabilità anche da parte dei media, si schierarono fin da subito dalla parte della santificazione o da quella opposta, o nero o bianco. Se si chiede a un gruppo di persone “che cosa pensi di Vincenzo Muccioli?”, la maggior parte dei presenti ti dirà se era bravo o cattivo, e quasi sempre usando espressioni estreme quali “era un Santo” o “era il Male”. Ma gli stessi sostenitori o avversari non sanno nemmeno se Muccioli sia ancora vivo o meno, se San Patrignano esista ancora oggi, cosa accadde, quanti morirono, come finirono i processi, qual era la vera posta in gioco…”.
La storia di Piero
San Patrignano, tutt’ora attivo come centro di recupero per tossicodipendenti, ha criticato la serie definendola, “una narrazione che si focalizza in prevalenza sulle testimonianze di detrattori, per di più, qualcuno con trascorsi di tipo giudiziario in cause civili e penali che si sono concluse con sentenze favorevoli alla Comunità”. Fra le persone che si erano esposte in difesa di Muccioli il grande comico Paolo Villaggio. Suo figlio Piero, proprio in una intervista a Diva, aveva dichiarato il suo debito nei confronti della comunità, ma anche i suoi dubbi. “Mio padre mi ha lasciato a San Patrignano perché ha capito che era l’unico modo di aiutarmi. Io ero stanco fisicamente e psicologicamente, non avevo passaporto né soldi, e ho pensato sto qui per un po’ poi scappo. Per fortuna sono rimasto. Probabilmente è stata la mia salvezza. Poi stando lì mi sono cominciato ad accorgere di tante cose che non potevo accettare. Sono anche dell’opinione che uno schiaffo o due, se serve, ci sta. Ma chiudere una persona in una botte per giorni non credo che sia giusto. E ci sono state delle persone ammazzate di botte. Io non capivo come mai Muccioli affidava persone in grande difficoltà a qualcuno che non era in grado di occuparsi nemmeno di un cucciolo”.
Vecchie droghe, nuovi allarmi
Piero Villaggio è uscito dal tunnel della droga come molti dei 26.000 ragazzi ospitati e salvati dal 1978 a oggi nella comunità che ancora ne ospita 1.200. “Al di là dei metodi controversi e degli errori, Muccioli è stata una persona che ha aiutato migliaia di persone in difficoltà, come provano le storie di tantissimi ragazzi” dice Angela Iantosca, che nel libro “Una sottile linea bianca” (Perrone editore) ha raccolto le testimonianze di 15 ragazzi di San Patrignano e nel recente “In trincea per amore” (ed. Paoline) racconta il dramma delle famiglie alle prese con un figlio tossicodipendente. “Non vorrei che le accuse diventassero un alibi per non fare, non vorrei che la “paura” suscitata dalle immagini proposte dalla serie si trasformasse in pregiudizio contro le comunità che funzionano, che devono continuare a vivere e che hanno bisogno di un grande supporto, come le stesse famiglie, le associazioni e i ragazzi”. “Quello che mi colpisce”, continua, “è che ora si parla molto della serie e ancora una volta si sfugge dal tema centrale che è la droga, tema rispetto al quale mi sento sempre dire che è pesante da affrontare, mentre continua a essere drammatico e dovrebbe preoccupare tutti, basta pensare che l’Italia è prima in Europa per uso di cocaina. Ecco, mi piacerebbe vedere la stessa indignazione e partecipazione che sto leggendo ovunque per il fatto che ogni anno muore più di una persona al giorno di overdose, che l’età media di chi comincia a fare uso di sostanze si è abbassata, che il 34% dei ragazzi delle scuole superiori dichiara di aver provato qualche droga, che dilagano le nuove sostanze psicoattive, che non si parla più di HIV e di Aids… Mi piacerebbe leggere la stessa indignazione nei confronti di chi propone la legalizzazione della cocaina. Vorrei che il tema non fosse ridotto a questione ‘partitica’, ma che si mettesse al primo posto sempre la vita delle persone”.
Dagli ultimi studi sulla diffusione delle droghe in Europa risulta che uno studente su 6 ha usato una sostanza illecita almeno una volta nella vita; ma l’età si è abbassata fino a coinvolgere bambini fra gli 11 anni e i 14 anni. Ma preoccupa anche l’uso di tranquillanti, sedativi e antidolorifici senza prescrizione medica: vi sono nuove sostanze illegali sintetiche, le nuove sostanze psicoattive appunto, con costi sempre più bassi. Un dato inquietante anche il fatto che dall’inizio della epidemia Covid nel lockdown i trafficanti trovato nuove forme di spaccio via web.